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«All'inizio c'è uno stridio di gomme sull'asfalto, un urto nell'aria, il suono di un clacson, e subito dopo quello che sembra il concerto di un martello pneumatico. Lo studente alza gli occhi dal giornale e si volta nella direzione da cui proviene quel frastuono. Ciò che accade alle 9.02 del 16 marzo 1978 continua ad accadere». L'attacco dura tre minuti, ma a saltare in aria - in quel luogo, in quel momento - è l'Italia intera. Aldo Moro viene rapito, cinque uomini massacrati, riscritto il futuro del Paese. Ecco perché dilatare quei minuti significa guardare il mondo con una lente diversa: al centro di questa storia, in un abbagliante quadro mobile, ci sono il presidente, i suoi familiari, i testimoni, i brigatisti, gli uomini della scorta; e tutt'intorno una vertigine di figure la cui ombra tocca il nostro stesso presente. E cosí, mentre la trappola si ripete all'infinito, quello che emerge a poco a poco nella nebbia è il grande romanzo di via Fani. Il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il massacro dei cinque agenti della scorta è l'evento che ha generato la piú grave frattura emotiva, politica e sociale della storia repubblicana. L'attacco dura tre minuti. Tre minuti che, a piú di quarant'anni di distanza, continuano a essere oggetto di ricerche, ricostruzioni e speculazioni. Ma questo, va detto, non è un saggio: qui siamo nel territorio della letteratura. E ogni scrittore, si sa, manipola il tempo, può condensare dieci anni in una frase o dilatare pochi secondi e farli durare quanto vuole, se in quei secondi si nasconde una verità su cui lo sguardo continua a posarsi. Il metodo in un certo senso è quello del realismo traumatico, lo stesso che usava Andy Warhol nelle sue immagini seriali: mettere in scena e replicare per sfiorare la verità. Non la verità storica, ma quella piú sfuggente della percezione individuale e collettiva. Ecco allora alternarsi nella narrazione i testimoni oculari, i brigatisti, i politici, gli uomini della scorta, persino personaggi storici vissuti secoli prima. E l'azione, gli spari, la fuga, il congegno che scatta e che si replica all'infinito, perennemente identico a se stesso, ma che viene osservato ogni volta da una prospettiva diversa. A intersecare i fatti pubblici è il racconto privato delle ultime otto ore di vita di Aldo Moro prima del sequestro. Il dio disarmato è un romanzo senza aggettivi: storico, politico, filosofico, lirico, documentario; nessun termine riesce davvero a definirlo. È un libro che indaga nel profondo le scelte individuali e i disegni del destino, il territorio e lo spazio urbano, la sostanza del tempo, il mormorio segreto della vita di un uomo tra i piú importanti della storia d'Italia, che quando tornava a casa si toglieva di dosso l'aggettivo «politico» per cercare di essere soltanto un uomo.